martedì 21 agosto 2007

La chiesa dello Spirito Santo e le chiese di Scilla: quale futuro?

A proposito del dibattito nato subito dopo la festa di San Rocco, riceviamo e pubblichiamo un interessante articolo scritto dal prof. Francesco Cento, turista in vacanza a Scilla nello scorso mese di luglio e collaboratore della rivista "Calabria Sconosciuta".

Le impalcature attorno alla chiesa dello Spirito Santo di Scilla, che questa estate caratterizzano il panorama della Marina Grande, testimoniano del rifacimento dell’intonaco lungo tutto il perimetro esterno del sacro edificio. Restauro sempre atteso, cui la chiesa aveva assoluto bisogno, e sempre rimandato, nonostante che l’urgenza dell’intervento fosse alla vista di tutti ormai da parecchi anni. A lavori appena iniziati, la speranza di una felice conclusione ci spinge a scrivere brevi riflessioni, durante questa calda estate scillese a tu per tu con l’involucro bianco dei ponteggi.

Certo l’intervento era necessario. Sicuramente l’intonacatura dei muri esterni era assolutamente di primaria importanza, eppure non riusciamo a comprendere l’interruzione dei lavori durante i mesi estivi con buona parte dell’intonaco mancante e col pericolo che il trascorrere del tempo possa compromettere la buona riuscita del rifacimento. Sicuramente, i turisti affollano come non mai i lidi scillesi, e turbarne la quiete potrebbe risolversi in un abbandono della città. Ma questo restauro era atteso da decenni e la perdita di qualche turista infastidito non avrebbe potuto incidere né sulla fama della città, né sulla bontà del restauro. Mentre i residenti devono sopportare i disagi dell’incombente impalcatura, che spurga svolazzanti fibre dell’inadatta tela antipolvere messa a chiudere (anche) sguardi indiscreti.

Ciononostante si è deciso di interrompere i lavori, procrastinandone la fine.

Quello che è più sorprendente, nell’intera vicenda, è che, indipendentemente dal tempo legato al restaturo, la chiusura della chiesa dello Spirito Santo al culto e alla vista degli studiosi (e per riflesso ai turisti) ci riempie di sgomento pensando alle conseguente funeste che tale chiusura comporta in termini di conservazione degli elementi scultorei, pittorici e delle strutture murarie interne.

La volta mononavata, realizzata secondo l’antica tecnica dell’incannicciata, gli intonaci, gli stucchi, i dipinti, la cripta, i marmi degli altari (che andrebbero smontati e riassemblati), soffrono già enormemente, consentendo, all’ostentata (e miope) chiusura “a priori”, l’accelerazione del deperimento dell’edificio.

Deperimento già in atto in questi anni e che, chi scrive, segue con grande preoccupazione avendo già da tempo constatato il moltiplicarsi e l’aggravarsi di crepe e scrostamenti alle pareti, i dissesti dei marmi degli altari, per tacere dello stato dell’organo positivo che si trova nella cantoria della chiesa e che giace nello stato «perenne» di rudere, giammai oggetto di un serio restauro, pur avendo, dissestati e disseminati tutt’attorno al corpo centrale, le canne metalliche (conservate in un baule a parte), i bordoni in legno, la tastiera, i mantici, etc.

A questo punto il pensiero corre all’altro organo a mantice presente in Scilla e che è custodito presso la chiesa di Santa Maria di Portosalvo, in Chianalea. Chi scrive, da ragazzo (estate 1971), ha mosso i mantici di questo organo per permettere ad una turista americana di suonare una «passacaglia» di Bach.

Allo stesso modo è inavvicinabile la chiesa di San Rocco, dalla lunga e tormentata ricostruzione, frutto di autotassazione da parte dei residenti e dei lasciti degli scillesi d’America, e che, a fronte d’un tempo infinito per il completamento dell’edificio, si trova nella stessa condizione di «chiusura coatta» che rende assolutamente impossibile sia la fruizione delle opere d’arte contenute, sia la visione dell’edifico lontano dalle funzioni religiose.

Questa chiesa contiene numerose opere pittoriche, recentemente restaurate, che rappresentano buona parte del cespite artistico scillese. Fra tutte, la magnifica pala in legno di San Francesco da Paola (appartenente alla chiesa dello Spirito Santo).

Chi scrive si è trovato ad attendere invano l’apertura di queste chiese, abituato com’era, negli anni passati, a visitarle con devota e rigorosa attenzione, rispettoso sia del sacro luogo, sia delle opere d’arte presenti.

Oggi è dato visitare soltanto la chiesa dell’Immacolata, antico e venerato edificio (anch’esso frutto d’un completo rifacimento dopo il terremoto del 1908), che conserva una delle più rilevanti opere della storia dell’arte calabrese: quella «Madonna della Porta», per anni presso la Sovrintendenza ai Beni Artistici di Cosenza e più volte pubblicata, custodita in una teca con vetro antisfondamento nella cappelletta del Santissimo (navata di destra).

A conclusione di questa veloce carrellata sulle chiese scillesi, ci limitiamo ad auspicare che la chiesa dello Spirito Santo di Scilla, una volta terminato il restauro della facciata e delle pareti esterne, possa essere riaperta al culto (e al pubblico) anche «semplicemente» per la celebrazione di una messa settimanale. Soprattutto, che si inizi a prendere in considerazione il restauro dell’interno, prima che sia troppo tardi e venga meno l’ottima lettura che ancora si ha delle decorazioni a stucco e dei manufatti litici (per tacere dei dipinti, che si conservano negli altari marmorei sempre più dissestati).

Don Bruno, il giovane parroco di Scilla cui è demandato il compito di guidare le anime degli scillesi e adoperare tutte le cure e le premure che l’alto ufficio a lui conferito dalla Curia (e da Dio) prevede, sembra, a contrasto con l’affabilità dei modi, ignorare totalmente tutte le necessità di tutela, custodia e garanzia dell’immenso patrimonio artistico scillese con il quale (suo malgrado?), è costretto a confrontarsi.

Noi, che amiamo Scilla in maniera totale e vorremmo saperla sempre oggetto di attenzioni e cure, ci duole saperla bistrattata (anche) nelle sue bellezze artistiche.


Francesco Cento

Scilla, 30 luglio 2007