venerdì 27 agosto 2010

RACCONTI D’ESTATE: L’HIPPOCAMPUS SOLARIUM SPARRAZZAM

Cavalluccio L’estate ti regala delle perle che sarebbe un peccato mortale farle cadere nel dimenticatoio. Ecco perciò un episodio capitato appena ieri mattina sulla spiaggia scigghitana.

Eravamo sulla battigia, addritta e con l’occhio vigile, scrutando tra le onde e le pietre, alla ricerca di quegli esserini gelatinosi chiamate meduse che, per i motivi che tutti potete intuire, in slang scigghitanu amichevolmente e fraternamente ribattezzate “mmerduse”.

Eravamo in tre, tipu Micu, Ninu e Petru l’orbu. E mai paragone fu più azzeccato, perché sommando le diottrie di tutti e tre non arriviamo a coprire i 10/10 di vista. Praticamente, i niputeddhi i Mister Magoo.

Mentre facevamo la guardia e lottavamo per conquistare uno parte di specchio acqueo che fosse poco più grande i ‘na vasca i bagnu, per ‘mpuzzarci ‘na calata in verticali, tipu palu ‘ill’ombrelloni per offrire alle meduse il minimo bersaglio, arrivano due turiste.

Età media 50-60 anni, accento altitaliano, iarmate di cappellino parasole in filo di scozia e scarpette da mare in plastica colorata (una blu e l’autra russi), facevano la salutare passeggiata a ripa di mare lungo gli 800 e rotti metri del litorale marinaro.

A un certu puntu, si fermano. Volgono il loro sguardo a pochi passi dalla riva e una di loro esclama: “Uh! Guarda, un cavalluccio marino!”

E l’altra, per conferma: “Ch’è carino!”

E se ne vanno, continuando la loro salutare passiata.

Ora, è risaputu che il mari scigghitano è ricco di specie marine: monaceddhi, ugghi, marangituli (volgarmente noti come ricci di mare), ecc. A volte, è possibile incontrare anche cavallucci marini, ma più in profondità.

Da questa considerazioni, è nata la curiosità di verificare se, veramente, un cavalluccio marino fosse arrivato a farsi vedere fin quasi sulla riva. Chi lo sa? forse l’acqua è tantu cadda da aver fattu nisciri pacci anche i pacifici animaletti.

Una dei niputeddhi di Mister Magoo si avvicina quindi verso il punto in cui era stato avvistato il piccolo “Furia” marino.

Un passo dietro l’altro, cautamente, finché la verità si svela davanti all’occhiu orbignu.

Il cavalluccio marino era di una razza strana. Dopo un esame approfondito, da esperti biologi marini chi mancu chiddha i Linea Blu, ci rendiamo conto che su una pietra si era adagiata un esemplare di Hippocampus Solarium Sparrazzam.

Questa specie, in realtà, non gradisce l’ambiente marino. Il suo habitat naturale è rappresentato dai balconi o dalle terrazze delle case scigghitane.

Non avete ancora indovinato? Ah, già, scusati.

pomodori secchiPer chi non conosce il latino, dirò che l’Hippocampus Solarius Sparrazzam è volgarmente nota all’urbi e all’orbi calabrisi come “Pumaroru sicca!” 

Eh già. Il presunto cavalluccio marino, altro non era che ‘na piccula pumaroru sicca, caduta in mare da qualche sparrazza. Cu’ sapi? forse era alla ricerca di… sale marino!

venerdì 23 aprile 2010

'U SAZIU NON CRIRI O' 'DDIUNU


Menziornu. Il sole era iatu, a piccu, spaccava 'i petri ra marina.
La famigghia Bonpisu [ma non eranu di origini sardignola] -formata da papà, mamma e ddu' figghi la cui stazza oScillava attornu al quintali l'unu- dopo aver fatto quattru voti il giro del lungomare, parcheggiò e scarricata la machina, s'avviò felice e contenta verso la spiaggia scigghitana.

Non erano soli. Portavano con loro tutto l'armamentariu tipicu delle famigghie chi vannu a mari: due ombrelloni cu palu ca punti 'rruggiata e annessa petra stabilizzatrice cu tantu di spago per il fissaggiu; seggia a due piazze per la mamma; seggia simile per il papà; teli mare tipu inzola la cui superficie sfiorava il decinaio di metri quatrati; giurnali, cruciverba, sudoku e riviste di pettegolezzi vari; maschere con annessi buccagghi, pinni e muta. Anzi no, 'a muta no. Gli scienziati si stannu ancora lattariandu, cercando d'inventare la tagghia adatta a loro.

Ma non è finita. Mentre mamma e figghi andavano avanti pi truvari il posto adatto per piantare gli ombrelloni, il padre si carricò sulle spaddhe 'na gabbietta i chiddhi a tri fili, con dentro il meglio della produzioni culinaria calabra: teglie di pasta o' furnu, cutuletti, pipi chini, parmiggiana di melanzane, zucchine ripiene. Poi un campionariu di vinu ra ionica, un bicchiere del quali avrebbe curcatu puru 'n cavaddhu. E poi pani, pani e ancora pani, naturalmente di grano.
Il tutto era accuratamente 'ntrusciatu prima con uno spesso strato di stagnola e poi coperto cu 'na tuvagghia a quadretti tipu "Il pranzo è servito", 'ttaccata cu 'na nnocca che avrebbe vinto il primu premio in un concorso internazionali di fiocchi.

La famigghiola, cercava di caminari in manera tali da mettere i piedi sopra le poche pietre che ancora spuntavano qua e là sulla spiaggia. La tattica non era casuale ma ben sturiata, al fine di evitare di sprufundari - vista la mole- nella sabbia, pirchì sennò per tirarli fora si sarebbero dovuti chiamari i pomperi con i loro carri speciali.

Il tempo di truvari lo spazio adatto a muntari gli ombrelloni e a coprire il tutto con i teli mare, tipu tenda da desertu, cusì chi pariva che sopra la spiaggia scigghitana fussi arrivatu il colonnello Gheddafi, chi s'era fatta l'una. Era ura di mentiri manu.

Aperta la tovaglia a quadretti che custodiva il prezioso tesoro, la mamma la distese a terra, a mo' di tavula cunzata. Poi, dopo aver tiratu fora le "armi" (cucchiai, forchette, coltelli, ecc.), pigliò il primo filoni di pani. Lo tagghiò, iaprendulu in due mità perfette, cacciò un po' di mollica e quindi lo innaffiò letteralmente di olio d'oliva di produzioni locali della Piana. Lo stesso fece con gli altri tre filoni. Per imbottirli, usò naturalmente tutto il repertorio di companatico prima descritto: cutuletti, pipi chini, pipi 'i rasta ecc.

Uno dei figghi non resistette alla vista di tantu ben di Diu e allungò la manu per pruvari ad assaggiari quelle leccornie, ma l'urlo di mamma Bonpisu lo paralizzò, rintonandu nella baia delle Sirene: "Fermu! Prima t'ha mangiari 'a pasta! A cu' nci 'a fici se no?"

E cusì fu. In pocu meno di cinque minuti, le due teglie di pasta o' furnu furono letteralmente  spazzolate, netti netti, chi mancu la migliore lavastoviglie e il miglior detersivo avrebbiru saputu fare di meglio.

Finite le teglie del primo piatto, ciascuno dei figghi Bonpisu chiese in coro: "Papà,  mu pozzu fari 'u bagnu?"
"No! Hannu a passari almeno ddu' uri. Prima aviti a diggeriri!", rispose il padre, siccu (almeno nta risposta!)

Arrivò il turnu dei panini formato maxi. I quattro li assaporarono con una calma e un piaciri chi pariva stessero mangiandu zzuccuru, producendu 'na rumurata chi pariva un cuncertu, un veru crescendo rossiniano, di una musicalità quasi celestiale.
Sì, pirchì ogni muzzicata parrava cull'angili.
"Gnam!" faciva il padre. "Gnam!" rispundiva la madre. "Gnam!Gnam!Gnam!Gnam!" tinivunu botta i figghi in coru.
 E a ogni morso, le mani stringevano il pane accussì forte che tutto l'olio cuminciava a scolare dal "culo" del pane comu fussi 'na sciumareddha. E scolando, l'olio andava a finire sulle dita, sulle mani, sulle braccia e poi sul petto e supra a panza di ciascuno dei Bonpisu. Praticamente, al posto dell'olio solare, a combattere contro le scottature del sole bruscenti, era l'ogghiu 'i 'liva [olio d'oliva].

A ogni muzzicata di pani, a turnu, i due figghi Bonpisu spiavano al padre: "Papà, dopu, mu pozzu fari 'u bagnu?" E la risposta patrigna era sempri la stissa: "No! Hannu a passari almeno ddu' uri. Prima aviti a diggeriri!".

S'erunu fatte le tre e menzu. 'U suli minava. Mentre i Bonpisu si avviavano a concludere il loro pasto, vicino al loro "accampamento", forsi attiratu dal miscuglio di sciauri scatenato dalle multipietanze che il quartettu aviva consumato fino  a quel momento, un poviru figghioleddhu si avvicinò piano piano, curioso.
Beh, il povero bimbo era tuttu peddhi e ossa, gli si potevano contare le costole e quasi gli s'intravedevano gli organi interni: cori, ficutu e prumuni. Praticamente, 'stu poviru figghiu era 'na radiografia ch'i peri.

Il bimbo cercava di avvicinarsi ai Bonpisu i quali, se sulu l'avessero vardatu nta l'occhi, si sarebbero accorti che il piccolo era la personificazione della fame. Fami nira.
Il bambino affamato stava quasi per svenire e avvicinandosi a papà Bonpisu, in un'ultimo lampo di lucidità, pinsava: "Siti brutti, ma 'a fami l'aviti!"
Poi, con le ultime forze rimaste, riuscì a iapriri bucca e con un filu di sciatu, con un'espressioni che avrebbe ispirato la compassione pure di un pluriomicida, rivolto a Bonpisu padre  disse: "Avi tri iorna chi non mangiu!"

Bonpisu, dopo aver emesso un fragoroso rutto (signu che la digestioni era già cominciata), il cui rumore si confuse con quello delle onde che sbattevano lente, andando a morire sulla battigia, guardò il piccolo affamato e, battendogli una mano sulle fragili spalle chi quasi lo 'ncappottava, gli disse: "Bravu figghiu, bravu. T'u po' fari 'u bagnu!"

*Colui ch'è sazio non crede a colui che è digiuno

**N.B.: Un ringraziamento per lo spunto, come sempre, all'amico Leo per l'umorismo "calabritish".

domenica 28 marzo 2010

L'OSPEDALE DI SCILLA SARA' CASA DELLA SALUTE

Novità per lo "Scillesi d'America".
Secondo quanto ha riportato il quotidiano "Calabria Ora" in un articolo del 26 marzo u.s., nel progetto di riconversione dei presidi ospedalieri esistenti in centri di assistenza primaria, rientra anche l'ospedale scillese.
Nonostante le previsioni della bozza del Piano Sanitario Regionale (che prevedeva a Scilla la sede di un centro di ricerca sulle cellule staminali), lo "Scillesi d'America" sarà più razionalmente trasformato in un così detto centro di primo intervento.
Secondo l'articolo ”Ai fondi per i nuovi presidi [quasi 200 mln -ndr] vanno aggiunti i 127 milioni di fondi europei per la realizzazione delle “Case della salute”, che sono in totale 10: Scalea, Cirò Marina, Mesoraca, Pizzo, Soriano, Chiaravalle, Taurianova, Oppido Mamertina, Siderno e Scilla
Tempi stretti per la loro riconversione: «In nove mesi - ha detto Graziano, che è anche commissario per le “Case della Salute” - abbiamo elaborato un progetto complessivo, pur tra le difficoltà legate alla discussione sul piano di rientro. La gara per le attrezzature parte subito perché le strutture esistono mentre la gara per le progettazioni definitiva ed esecutiva partirà nelle prossime settimane».

Sembrerebbe dunque scongiurato il pericolo di veder chiudere definitivamente il nosocomio scillese che, pur con la nuova denominazione, potrà comunque continuare ad espletare una funzione di primo piano a servizio della collettività.

Ecco cosa prevede l'Accordo integrativo sottoscritto tra il Governo e la Regione Calabria