lunedì 2 febbraio 2009

IL MARE E’ BLU QUANDO LA MONTAGNA E’ VERDE

Con riferimento alle "vicissitudini" che il nostro territorio ha sofferto e tuttora soffre dal punto di vista idrogeologico, riceviamo e volentieri pubblichiamo un'approfondita riflessione da parte di Pietro Bova, osservatore sempre attento alle "cose scigghitane" e non solo.


Sempre peggio. Sempre ... più peggio. Le persistenti pioggie di questi giorni che hanno messo in ginocchio l’intera regione a cui sono seguiti morti, frane e smottamenti, danni ingenti all’economia, disagi alla circolazione ed accentuato l’isolamento della Calabria dal resto del paese, non possono non indurre a più di una riflessione.

Riflessione che dovrebbero fare propria le autorità governative e il personale politico tutto, non esclusi i sindaci della regione giustamente tanto affaccendati a convocare incontri dalla Piana alla zona Jonica per reclamare provvidenze dai governi centrali e regionale.
E' proprio vero, come recita l’antico adagio popolare: “piove: governo ladro” per significare che, nel nostro caso, la causa degli ingenti danni causati è solo colpa degli altri, delle avverse condizioni meteo?
I sindaci dovrebbero interrogarsi su quello che possono fare, intanto loro come amministratori locali e nei loro comuni, per arginare questi fenomeni prima che diventino irreversibili, reclamando nel contempo interventi mirati; lo stesso dicasi per il Presidente della Provincia per la diffusa articolazione sul territorio della rete stradale di pertinenza e per le nuove ed importanti competenze delegate dalla Regione; per i dirigenti dell’Anas e delle Ferrovie, dei Consorzi di Bonifica e degli altri organismi che operano sul territorio.
La prima cosa che ho sempre notato visitando siti archeologici di eredità greca o romana è stata la grande attenzione con cui trattavano le ipotizzate problematiche derivanti dalle acque meteoriche, quindi i canali di gronda, le reti di canalizzazioni superficiali e sotterranee e rimanevo stupito dal primo loro pensiero di realizzare bagni e terme ove potevano.
Questa logica, in specie da parte dei Borboni, è stata sempre rispettata in ogni opera pubblica, tenendo bene a mente di plasmarla al territorio ove impattava assecondandone impluvi, escrescenze o fenditure e facendo convogliare, con lavori da eseguire “a regola d’arte” in opportuni canali di gronda, fossi di guardia o quant’altro, le acque meteoriche raccolte: tutto ciò, con scrupolo, fino a qualche decennio addietro.
E qui sorgono spontanei una serie di interrogativi.
Non vorrei dare la croce addosso a chi si cimenta giornalmente con problemi di ardua soluzione ma, non essendo obbligatorio fare politica, possiamo dire che oggi tutti i sigg. sindaci siano veramente “guardiani” dei loro territori? E’ presente la cultura della pianificazione e del paesaggio nelle loro maggioranze e perseguito in concreto ogni tipo di abusivismo? Quante sono le opere abusive demolite? I progetti vengono attentamente esaminati e più correttamente attenzionati nella loro esecuzione? I direttori dei lavori sentono veramente, per il loro tramite, il fiato al collo di una opinione pubblica veramente attenta ed intransigente su ogni sorta di collusione?
Il Presidente della Provincia impartisce ferree indicazioni perché lungo le strade provinciali le acque meteoriche vengano fatte correttamente defluire senza che si trasformino in grandi collettori, ampliando a dismisura con la loro azione di intercettazione gli effetti deleteri sui terreni circostanti? C’è una costante pulizia delle cunette e dei tombini ed un piano, con tanto di proget-manager di riferimento, di sorveglianza costante del sistema di regimentazione delle acque pluviali ove esistente e realizzarlo se assente?
L’esempio più illuminante lo abbiamo verificato dalle nostre parti, diversi anni fa, quando le acque meteoriche, attraversando il piano viabile della Scilla-Melia, con “l’effetto cascata”, hanno prima fatto cedere la strada per poi sospingere addosso all’unica fabbrica della cittadina, la Cofeal per la produzione di infissi, posta a valle ai bordi della ss 18, centinaia di metri cubi di fango e detriti costringendo le maestranze a chiudere battenti.
Sul fronte delle strade ed autostrade di competenza dell’Anas esiste simile tensione morale nell’approccio all’esecuzione delle opere pubbliche in generale ed in particolare alla corretta regimazione delle acque meteoriche? Ricordo di altri morti in quel tratto autostradale tristemente famoso, di studenti reggini investiti da fiumi in piena e fare acqua-splash non è infrequente quando le piogge scendono dal cielo in abbondanza; e con l’estremizzarsi degli eventi climatici non c’è da stare allegri.
Anche qui i lavori vengono correttamente eseguiti e la sorveglianza è veramente tale? E’ normale, sulle autostrade, che l’acqua scorra in senso trasversale alla carreggiata?
Ovviamente ove l’inerbimento delle pendici viene considerato fondamentale per la loro stabilizzazione, unitamente al potere consolidante dell’apparato radicale di essenze idonee come le acacie, altrettanto funesti sono da considerare gli effetti degli incendi: qui apriamo altro dolente capitolo di questa immonda vicenda dello scempio a cui assistiamo del nostro territorio.
E’ evidente la mancata ed efficace lotta agli incendi che stagionalmente devastano la nostra Calabria il cui terreno -di per sé friabile ed instabile, geologicamente disomogeneo e stratificato, variabile, notoriamente “sfasciume pendulo tra due mari” per usare una frase trita e ritrita di Giustino Fortunato, e aspro, dove “le uniche vie di percorrenza erano le fiumare”, per dirla con Corrado Alvaro,- mostra tutta intera la propria vulnerabilità alle piogge che lo attraversano, separano, quindi fatto scivolare sulle falde sottostanti trascinando case e cose o involandosi sulle strade o autostrade con gli effetti nefasti che conosciamo.
Gli incendi delle ultime due estati hanno avuto effetti micidiali. Pochi si interrogano sul perché tutto cio’ avvenga e ancora di meno si arrovellano sui rimedi da adottare tra un Canadair e l’altro che non arriva mai e per difficoltà logistico-operative dovute al territorio, il getto di acqua salata, magari non centra appieno il bersaglio.
Perché non si attuano vie alternative, e certamente meno “salate”, dotando i comuni di autobotti con pompe prementi ed aspiranti e, per comprensori, dotandoli altresì di un elicottero istruendo personale ad hoc con la realizzazione di laghetti collinari per garantire una dotazione di acqua e da utilizzare anche per irrigare i campi?
Utilizzare vigili urbani, carabinieri e polizia stradale per osservare, tra un controllo e l’altro, anche i boschi e le colline perché, si sa, un intervento tempestivo equivale a dieci canadair dopo.
E così qualche piromane potrebbero pure avvistarlo.
Questo sarebbe il terreno di sfida pure del vero volontariato, non quello assistito e di comodo, fatto di operatori organizzati in nuclei comunali di protezione civile da attivare alla bisogna.
A problemi estremi, estremi rimedi.
E poi, si sa, il generale abbandono dei terreni agricoli e di tutti i terreni in generale un tempo utilizzati e frequentati, costituisce terreno fertile per le frane in inverno e gli incendi d’estate: i fondi comunitari vengono orientati in tale direzione?
Lungo le pendici della Costa Viola, ove le imprese esecutrici dell’ammodernamento dell’autostrada stanno facendo scempio del territorio cancellando i Piani della Corona e inquinando il territorio nel generale silenzio, abbiamo un esempio illuminante.
Basterebbe mettere a coltura i chilometri di gradoni abbandonati, un tempo coltivati a vigna, da collegare con impianti a fune, trenini a cremagliera e strade interpoderali affinché il problema delle frane sulla SS 18 venisse notevolmente ridotto: sogni? Andare nelle Cinque Terre per vedere il nostro territorio come sarebbe potuto diventare.
Operare in Calabria non puo’ costituire sempre un alibi a non agire al meglio o non assumersi nessuna responsabilità.
E se dalle colline scendiamo sulla riva del mare, le cose non cambiano affatto. Ci si lamenta della furia devastatrice delle onde come se il problema fosse nato oggi. In molti centri della Calabria o piantiamo gli ombrelloni sugli arenili o passeggiamo la sera: non c’è spazio per tutte e due le cose. Sono state costruite vie marine dove per secoli scorrevano le onde che dissipavano così, naturalmente, la propria energia, che oggi impatta contro dei muri di contenimento che vengono prima scalzati e poi abbattuti.
Al mare non mettere mai la mano contro mi diceva, da ragazzo, il saggio Capo Chemi, esperto di mare, passato a miglior vita da tempo. Ed a Scilla mai nessuno si è sognato di fare muretti al bordo della Via marina, per fortuna posta alla stessa quota della spiaggia, per cui il mare scorre e si ritira non rubando, se non a porzioni fisiologiche, grandi quantità di sabbia. Il Comune pulisce, sempre con grande ritardo, e tutto finisce là. Certo è un caso particolare ma illuminante che conferma l’assunto del grande Leonardo che affermava che “quando si tratta di acque consultare prima l’esperienza e poi la ragione”.
Per arginare gli effetti devastanti delle onde hanno costruito prima centinaia di pennelli che, si è visto poi, se da un lato alimentavano il pascimento, dal lato opposto contribuivano a dismisura all’erosione, per poi passare a barriere parallele alla riva: un eterno laboratorio con spreco di denaro pubblico a non finire.
Risultato: le rive si assottigliano sempre piu’. Oggi si scopre il pascimento naturale riversando sabbia nuova o spostandola da un punto e l’altro.
Allora come la mettiamo, mi domando, con i milioni e milioni di metri cubi di ghiaia, frenata dalle opere di imbrigliamento dei torrenti realizzati a più non posso dopo le alluvioni degli anni ‘50, che riversandosi negli arenili compensavano la naturale erosione del mare? Erano tutte necessarie quelle briglie? Oggi abbiamo i greti dei torrenti innalzati e le spiagge abbassate.
Come non dare ragione a Monsignor Bregantini che, al solito, ispirato dallo Spirito Santo, legando inscindibilmente i problemi, soleva ripetere che.. “il mare è blu quando la montagna è verde”.
Per non parlare dei porti sbagliati come quello di Saline o Cetraro che addirittura è stato fatto al contrario, nel senso che pur essendo riconosciuto che sul versante occidentale o tirrenico della Calabria il movimento sabbioso prevalente è in direzione Nord, la bocca del porto è stata orientata a Sud. Risultato: eternamente insabbiato! E non parliamo degli effetti deleteri sulla linea di costa, avvertiti a decine e decine di chilometri di distanza.
Piangerci addosso e reclamare lo stato di calamità naturale mi sembra veramente riduttivo.
Pietro Bova